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I lettori attenti delle etichette si saranno già posti
questa domanda. Ebbene, il termine in sé ci dice ben poco: si dice «invertito»
perché la luce polarizzata, attraversandolo, ruota verso sinistra anziché verso
destra, come invece farebbe nel caso del glucosio (che per questa
caratteristica si chiama, appunto, anche «destrosio»). Cosa comporta questo in
cucina? Nulla.
Il saccarosio, ovvero il comune zucchero da tavola,
nell’intestino viene scomposto (idrolisi) nei due zuccheri semplici glucosio e
fruttosio. Si può arrivare allo stesso risultato anche industrialmente, aggiungendo
al saccarosio l’enzima invertasi. Il risultato sarà un cocktail in varie
percentuali di glucosio, fruttosio e saccarosio. La terza via è quella di
mischiare a caldo il saccarosio con un acido, come si faceva una volta in
fabbrica e come succede tuttora nella nostra cucina quando cuociamo una
marmellata di frutti acidi.
Comunque sia, più fruttosio c’è alla fine e più sarà dolce
il composto: questa è una
caratteristica che ci interessa. Le altre sono: lo zucchero invertito abbassa
il punto di congelamento (utile in gelateria), ritarda la cristallizzazione
(utile in pasticceria, soprattutto quando si preparano le glasse di copertura)
e trattiene l’umidità più del saccarosio (quindi i prodotti da forno si seccano
dopo).
Le caratteristiche negative sono invece che è difficile
trovare in commercio lo zucchero invertito, e comunque è sempre il frutto di
una manipolazione. La soluzione potrebbe essere quella di ricorrere al miele,
che assomiglia allo zucchero invertito sotto tutti gli aspetti. L’unico
accorgimento è quello di sceglierne un tipo dal sapore molto lieve, come il
miele di acacia, per non coprire tutti gli altri.
Il costo sarà più alto rispetto allo zucchero invertito
industriale, ma noi dobbiamo forse preparare cento chili di brioche?
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