Statistiche alla mano, buttiamo via un sacco di cibo.
Statistiche alla mano, siamo tutti a dieta. Le due cose sono forse correlate? E
quali sovrasensi diamo al semplice atto di mangiare? Mette in scena il rapporto
conflittuale e bislacco con il cibo e le diete un divertente libro di Dawn
French, La meraviglia delle piccole cose (leggereditore,
Roma 2011), ritratto di famiglia nella provincia inglese.
Dora sta per compiere diciotto anni e ha un rapporto difficile
con la madre Mo, psicologa specializzata proprio nel trattamento degli
adolescenti. Dora pensa di essere originale, certo incomprensibile per la
mamma, invece segue punto per punto il copione standard adolescenziale: rifiuto
della figura materna, della scuola e alla fin fine di sé, aggressività,
instabilità emotiva, negazione della propria bellezza, diete assurde, capelli
decolorati, disastrosi esperimenti nell’abbigliamento, velleità artistiche...
Ma immaginiamo sappiate di cosa parliamo.
Esemplare è il suo atteggiamento sconclusionato verso
l’alimentazione, con una strampalata dieta dissociata che reinterpreta
l’espressione «mangiare in bianco».
Penso che ingerire solo cibo bianco faccia davvero molto bene. Funziona
al 120%. Non riesco a credere a tutte le cose buone che si possono mangiare.
Ieri, ho mangiato pane, pasta, maionese, ciambelle, cioccolato bianco, frullato
di vaniglia, zucchero filato, caramelle morbide, formaggio bianco, latte e un
sacco di altre cose.
La cosa incredibile e che dopo aver mangiato, ci si sente così sazi che
non si vuole ingerire altro fino all’ora della merenda o al pasto successivo.
Non sento che i vestiti mi vanno più lenti, ma nei prossimi giorni mi aspetto
di cominciare a perder peso. Non vedo l’ora.
All’altro estremo della gamma, anche il marito di Mo è
esemplare nell’atteggiamento verso il cibo e il proprio ruolo nel mondo.
A volte provo una sorta di conforto nella familiarità di tutto questo.
Sapere che mio marito andrà verso la credenza con l’intento di prendere del
sano muesli ma si arrenderà alla sola vista del pane o dei croissant o degli
avanzi della sera prima. Se mantiene la sua decisione e mangia del muesli,
appare terribilmente abbattuto mentre si siede con l’Independent e la giacca sulla spalliera della sedia,
come se gli fosse stato negato l’ultimo sprazzo di gioia nella sua vita. Se
cede alla tentazione e mangia un piatto di qualcosa che vuole veramente, sembra
un cattivo scolaro che è appena stato lasciato fuori in punizione. Saltella su
e giù, fa battute e ci bacia tutti. Piaceri così semplici, piccoli, facilmente
raggiunti sono la sostanza della vita per lui. Personalmente penso che dovrebbe
abbandonare ogni tentativo di mangiare sano ed essere più felice invece, ma
ogni mattina si mette alla prova. Oscar una volta gli chiese perché si fosse
fissato con quella storia di mangiare sano. Mio marito gli rispose: «Be’, il
fatto è che, come padre di questa famiglia, io sono il protettore, colui che
provvede al mantenimento della propria famiglia, il cacciatore-raccoglitore».
Non riuscii a soffocare i risolini.
E voi, che rapporto avete con il cibo e le diete? Nella
nostra società, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta, dal virtuoso
cacciatore-raccoglitore che si vorrebbe porre come modello famigliare ma poi cede
di fronte a un croissant, agli esperimenti adolescenziali nella faticosa
definizione della propria immagine, passando per certi stereotipi culturali
come la madre nutrice dalle forme morbide o la single in carriera ferocemente
snella, nonché il pingue uomo di successo e il palestrato evergreen.
Ecco allora il compito di oggi: separare gli
stereotipi in cui ci siamo calati dalle nostre più profonde aspirazioni, in
modo da pulire la lavagna e poterci poi ridisegnare, un tratto alla volta, il
ritratto di ciò che siamo, di ciò che saremo.
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