Il formaggio, si sa, non fa tanto
bene alla nostra salute: alza i livelli di colesterolo nel sangue, provoca disturbi
digestivi, pare addirittura favorire il cancro. Ma di certo non fa alcun male
se è… formaggio letterario. A meno che non si sia protagonisti di un romanzo
come Delitti e formaggi, certo.
Tra un ocra della
Mauritania e un gorgonzola, un caglio caprino turcomanno e uno stinking bishop,
il lettore viaggia con i Trencom tra sentori di fieno e noci, abetaie basche e
salamoia, su e giù per la storia, quella vera e quella adattata alla vicenda
fantastica partorita da Giles Milton (che fa curiosamente rima con stilton).
Chi sono i Trencom? I membri di
una famiglia che vanta da secoli gli esperti di formaggi più quotati d’Inghilterra
nonché fornitori della casa reale, e sempre grazie a una particolarissima
caratteristica: un naso lungo e aquilino con una gobba semisferica sul ponte.
Un naso dall’eccezionale olfatto che permette a Edward Trencom, l’ultimo
discendente, di capire che qualcuno si è introdotto nelle sue cripte perché vi
ha lasciato
l’odore
penetrante e salmastro dello chevrotin des aravis […] ma non la tipica
cremosità. Il sale di una blonde de gâtine senza il leggero cenno di
ipermaturità. Un odore intenso, certo, ma non lo emanava nessuno dei
tremilacentoventisei formaggi fermentati e non, né gli yogurt conservati nella
cripta.
Sotto la bottega si dirama
infatti un complesso sistema di cripte in cui la famiglia tiene dal Seicento i
suoi pregiatissimi esemplari, divisi per aree geografiche. Da qui parte una
ricerca che spinge Edward a ritroso nel tempo e nel suo albero genealogico per
capire come mai tutti i suoi antenati diretti siano incappati in una fine
misteriosa in Grecia. Ma che c’entrano generazioni e generazioni di formaggiai
londinesi con le tumultuose vicende balcaniche che vedono avvicendarsi
imperatori bizantini, guerriglieri turchi e dittature militari? Cosa nascondono
le cripte della loro bottega, oltre a samsoe danesi, chevrotin della Loira e cornhusker
del Nebraska?
I Trencom celebrano da secoli i
loro riti nella cripta principale, con l’altare in pietra dove i monaci
dell’originaria abbazia di Saint Egbert un tempo celebravano le loro messe e
consacravano pane e vino.
All’epoca
presente un rito assai diverso si svolgeva a questo altare. Sulla lastra di
pietra si tagliavano e annusavano formaggi, li si esaminava e assaggiava. [...]
Saint Branoc avrebbe scagliato i suoi serpenti velenosi addosso ai Trencom,
maledicendoli per il sacrilegio. L’abate Henri de Clairvaux li avrebbe mandati
al rogo come eretici. I Trencom invece non ci vedevano nulla di blasfemo.
Tutt’altro. Mentre tagliavano i formaggi sull’altare, mangiando alla mensa di
Cristo, si sentivano i custodi di una lunga e sacra tradizione.
Affermazione quanto mai
profetica, tra sacro e profano. E non andiamo oltre per evitare di vanificare
le sorprese della trama. Però quest’ultima considerazione ci stimola a interrogarci sulla nostra vita e sul nostro atteggiamento verso il cibo,
che sia pane, vino, formaggio o altro: quanto di rituale c’è anche nel nostro
rapporto con la tavola?
Quanto di sacro e quanto di profano?
Brani tratti
da Giles Milton, Delitti e formaggi,
Ponte alle Grazie, Milano 2008, pagg.73-74 e 65.
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