domenica 17 agosto 2014

Delitti e formaggi



Il formaggio, si sa, non fa tanto bene alla nostra salute: alza i livelli di colesterolo nel sangue, provoca disturbi digestivi, pare addirittura favorire il cancro. Ma di certo non fa alcun male se è… formaggio letterario. A meno che non si sia protagonisti di un romanzo come Delitti e formaggi, certo.
Tra un ocra della Mauritania e un gorgonzola, un caglio caprino turcomanno e uno stinking bishop, il lettore viaggia con i Trencom tra sentori di fieno e noci, abetaie basche e salamoia, su e giù per la storia, quella vera e quella adattata alla vicenda fantastica partorita da Giles Milton (che fa curiosamente rima con stilton).
Chi sono i Trencom? I membri di una famiglia che vanta da secoli gli esperti di formaggi più quotati d’Inghilterra nonché fornitori della casa reale, e sempre grazie a una particolarissima caratteristica: un naso lungo e aquilino con una gobba semisferica sul ponte. Un naso dall’eccezionale olfatto che permette a Edward Trencom, l’ultimo discendente, di capire che qualcuno si è introdotto nelle sue cripte perché vi ha lasciato

l’odore penetrante e salmastro dello chevrotin des aravis […] ma non la tipica cremosità. Il sale di una blonde de gâtine senza il leggero cenno di ipermaturità. Un odore intenso, certo, ma non lo emanava nessuno dei tremilacentoventisei formaggi fermentati e non, né gli yogurt conservati nella cripta.

Sotto la bottega si dirama infatti un complesso sistema di cripte in cui la famiglia tiene dal Seicento i suoi pregiatissimi esemplari, divisi per aree geografiche. Da qui parte una ricerca che spinge Edward a ritroso nel tempo e nel suo albero genealogico per capire come mai tutti i suoi antenati diretti siano incappati in una fine misteriosa in Grecia. Ma che c’entrano generazioni e generazioni di formaggiai londinesi con le tumultuose vicende balcaniche che vedono avvicendarsi imperatori bizantini, guerriglieri turchi e dittature militari? Cosa nascondono le cripte della loro bottega, oltre a samsoe danesi, chevrotin della Loira e cornhusker del Nebraska?
I Trencom celebrano da secoli i loro riti nella cripta principale, con l’altare in pietra dove i monaci dell’originaria abbazia di Saint Egbert un tempo celebravano le loro messe e consacravano pane e vino.

All’epoca presente un rito assai diverso si svolgeva a questo altare. Sulla lastra di pietra si tagliavano e annusavano formaggi, li si esaminava e assaggiava. [...] Saint Branoc avrebbe scagliato i suoi serpenti velenosi addosso ai Trencom, maledicendoli per il sacrilegio. L’abate Henri de Clairvaux li avrebbe mandati al rogo come eretici. I Trencom invece non ci vedevano nulla di blasfemo. Tutt’altro. Mentre tagliavano i formaggi sull’altare, mangiando alla mensa di Cristo, si sentivano i custodi di una lunga e sacra tradizione.

Affermazione quanto mai profetica, tra sacro e profano. E non andiamo oltre per evitare di vanificare le sorprese della trama. Però quest’ultima considerazione ci stimola a interrogarci sulla nostra vita e sul nostro atteggiamento verso il cibo, che sia pane, vino, formaggio o altro: quanto di rituale c’è anche nel nostro rapporto con la tavola? 
Quanto di sacro e quanto di profano?
Brani tratti da Giles Milton, Delitti e formaggi, Ponte alle Grazie, Milano 2008, pagg.73-74 e 65.

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