Pablo Picasso, La pentola smaltata Bisognava sapere quante minestre di pollo aveva cucinato Ida in un’ottantina di anni per poter apprezzare il modo in cui stava preparando quella; così come bisogna sapere che Picasso era capace di disegnare con precisione fotografica, per poter autenticamente apprezzare il suo cubismo. Perché a prima vista tutto sembrava fatto a casaccio, nella pentola o sulla tela, poco curato, immaturo: in fondo, anche un imbecille poteva scartare un pollo e seppellirlo nell’acqua sotto una sporta di carote, cipolle e sedano, no?Ma era lo spettatore che doveva essere educato.
Dopo
tante ripetizioni, il tuo corpo si muove in cucina come se seguisse una
partitura musicale tutta sua, una sinfonia silenziosa. Le mani sbucciano,
tritano, dosano, versano senza che tu ci pensi razionalmente, eppure tutti i
movimenti seguono la successione giusta, in un’eleganza fatta di essenzialità.
A un
osservatore esterno sembrerà un insieme di gesti casuale, ma quanta esperienza,
quante prove, quanti ricordi ci sono nel passato prossimo e remoto un semplice
brodo?
Questa
può essere una chiave per capire come mai tante persone trovino rilassante
cucinare. C’è il calore degli affetti famigliari (la minestra di quando eri bambino),
c’è la rassicurazione della ripetitività (quella che fa guardare sceneggiati TV
da mille episodi o seguire la partita tutte le domeniche), c’è il gusto del
“saper fare bene” qualcosa, c’è l’obiettivo concreto del preparare qualcosa di
buono, la gratificazione finale. Il bello e il buono.
E
per te, cosa c’è dietro la svagata eleganza di una minestra?
Brano tratto da Nora Seton, Il circolo della cucina, Rizzoli, Milano 2000, pag. 155.
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