Nell’Ottocento
la gastronomia francese era dominata da Marie-Antoine Carême.
Il suo era uno stile pomposo, con architetture di cibo, argenti a profusione,
piatti dai nomi altisonanti, un tripudio di vassoi con innumerevoli portate. Il
rovescio della medaglia era la scomodità. Le composizioni architettoniche
rendevano difficile servirsi, la disposizione in tavola di più portate
contemporaneamente faceva sì che le temperature dei vari cibi gradualmente si
raffreddassero.
Auguste
Escoffier mirava a una clientela ricca e aristocratica come Carême,
ma ai clienti privati – fossero pure re, zar o magnati della finanza –
preferiva la ristorazione di lusso. Si deve alla sua pluriennale collaborazione
con César Ritz, per esempio, il lancio siderale del Savoy
a Londra, dei Ritz a Parigi e poi a New
York, nonché del Carlton a Londra.
Lo
“stile Escoffier” era una combinazione di eleganza ed efficienza. Il servizio
rapido rendeva possibili i pranzi d’affari, la rigorosa scansione temporale era
indispensabile per far assaporare tutto alla temperatura giusta, la
creazione dei menu serviva a mettere le portate in una successione sensata e
armoniosa. La giornalista Naomi Barry, che era una delle penne illustri di Gourmet – la rivista gastronomica più
famosa degli USA, diretta da Ruth Reichl – attribuisce a lui l’idea dei menu a
prezzo fisso, in cui gli stranieri potessero orientarsi nella carte elegante, in francese.
Dietro
le quinte, la cifra di Escoffier è sempre stata all’insegna della razionalizzazione. Il
personale di cucina diviso in squadre specializzate: salse, pesce, piatti
di mezzo, zuppe, arrosti, pasticceria, gelati e dolci. Le ricette raccolte nel Grande libro della cucina francese, che
richiese vent’anni di impegno. E nei settantacinque anni di carriera Escoffier
formò non solo parecchi altri chef, ma soprattutto una mentalità più “moderna”
dell’alta cucina.
Ora,
tutto questo fa riflettere anche sulla nostra organizzazione in cucina. Non
dovremo mai gestire il Ritz, ma studiare
un menu di “portate alla nostra portata” e mettere le varie operazioni in
sequenza logica fa risparmiare tempo, fastidi e tonfi clamorosi. Un esempio
esilarante è la cena di compleanno (dis)organizzata da Bridget Jones nel primo
libro della serie.
Ho deciso di servire la torta salata del pastore con indivia belga alla piastra, pancetta al Roquefort e, per aggiungere un tocco alla moda, riso parboiled fritto (non l’ho mai fatto prima, ma credo sia facile), seguito da minuscoli soufflé al Grand Marnier. Non vedo l’ora che arrivi il mio compleanno. Credo che mi creerò la fama di una cuoca e padrona di casa con i fiocchi.
L’idea
di Bridget si scontra con difficoltà logistiche (19 persone sono una folla in
un appartamento piccolo, non una «calda, enorme famiglia aficana») e con la
goffa e tenera caoticità che è la sua caratteristica saliente. Ora
delle 18,30 Bridget ha infatti ingombrato mobili e pavimenti della cucina di
pentole con cibo a vari stadi di preparazione, ha infilato una scarpa
scamosciata nel purè e realizzato che deve ancora comperare gli ingredienti dei
soufflé, nonché pulire la casa e se stessa. E ci sono ancora i mobili da
spostare e gli imbarazzanti barattoli con un motivo a scoiattoli da far
sparire. Alle 19,40 sogna un bagno e un bicchiere di champagne prima che
arrivino gli ospiti, ma realizza di aver lasciato in negozio la borsa con la
spesa. Addio anche al riso saltato e alla pancetta. Ma forse fa in tempo almeno
a lavarsi. Alle 19,55 squilla il campanello della porta.
Sono in reggiseno e mutandine e con i capelli bagnati. La torta è ancora per terra. Improvvisamente odio i miei ospiti. Ho dovuto sgobbare due giorni e tra poco loro entreranno, tutti in tiro, chiedendo cibo come tanti cucù. Mi viene voglia di aprire la porta e gridare: “Andate tutti a farvi fottere!”
Per fortuna gli amici di Bridget sono davvero una calda ed enorme famiglia, così la torta del pastore finisce in pattumiera, la cucina viene pulita e il compleanno si sposta in un ristorante. Quello che gli amici avevano già prenotato al solo sentir parlare di soufflé al Grand Marnier.
Allora,
ti senti più Escoffier o Bridget Jones?
«Escoffier», di Naomi
Barry, è incluso in Ruth Reichl (a cura di),
Al banchetto del mondo, Ponte alle Grazie, Milano 2005.
Brani tratti da Helen Fielding, Il diario di Bridget Jones, Superpocket
Sonzogno, Milano 1999, pagg. 89 e 91.
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