Come si trovano tanti romanzi sul cibo? Un sistema è quello
di scorrere l’elenco di collana alla fine di un libro che ci è piaciuto. Come
in un menu, possiamo appuntarci i titoli che solleticano il nostro appetito
letterario. E, come in un menu, talvolta riceviamo piacevoli sorprese, altre
volte portate dai sapori sgradevoli, magari troppo aspri o amari. Ma il gusto
si costruisce e affina sperimentando la varietà, no? E scoprire i nostri gusti
ci porta a scoprire noi stessi.
In fondo a Caffè
Babilonia di Marsha Mehran (ci ritorneremo nella stagione delle melegrane) c’è
l’elenco della collana «Le tavole d’oro», Neri Pozza. Compaiono il seguito di
questo romanzo, Pane e acqua di rose,
e due romanzi giapponesi, Il ristorante
dell’amore ritrovato di Ito Ogawa e Le
quattro casalinghe di Tokyo, di Natsuo Kirino. Mmm, potremmo iniziare da
questo, ma chissà se parlerà di cibo.
Andiamo a leggere la scheda sul sito della casa editrice e
scopriamo che è un noir in cui una donna uccide il marito violento e traditore,
che ha bruciato tutti i risparmi di famiglia nel gioco d’azzardo, e si fa
aiutare dalle colleghe a «smaltirlo», proprio come succede per gli scarti nella
fabbrica di cibi precotti in cui tutte lavorano.
Ora, viste le premesse non ci possiamo aspettare raffinate
dissertazioni sui piaceri dell’alta cucina, no? Ma il romanzo va oltre,
facendoci sprofondare nell’alienazione della catena di montaggio anche quando
riguarda qualcosa di intimo come il cibo: spogliarsi dei propri abiti per nascondersi dietro grembiule
e maschera (quanti libri sul tema della maschera!), passare nel disinfettante
braccia e mani per eliminare ogni minima impurità, o forse potremmo dire
umanità, prima di indossare anche i guanti di gomma ed evitare ogni contatto in
quello che invece dovrebbe essere un rapporto antico e diretto col mangiare. E
poi ricevere passivamente le istruzioni per confezionare centinaia di esemplari
tutti uguali, come dei robot con la spiacevole caratteristica di stancarsi.
Tutte le veterane sapevano quanto fosse pesante “spianare il riso”, che
era freddo e duro perché era trascorso troppo tempo dalla cottura, e spianare
in un attimo quel blocco di riso solidificato richiedeva forza nel polso e
nelle dita, e inoltre bisognava lavorare curvi. Dopo un’ora si cominciava a
sentire un indolenzimento nella schiena e negli avambracci e non si riusciva
più a sollevare le braccia. Perciò si lasciava quell’incombenza alle nuove
operaie, ignare del lavoro. Ma Yayoi, con espressione triste e rassegnata,
andava stoicamente avanti.
Milleduecento colazioni al curry erano pronte. Il gruppo di lavoro
doveva sgomberare velocemente il nastro trasportatore, pulirlo e spostarsi a un
altro nastro.
Il lavoro successivo riguardava duemila scatole per una colazione
speciale destinata a essere consumata a teatro, durante l’intervallo.
Oltretutto, il lavoro è notturno, e il lettore si chiede
cosa abbia portato le quattro donne ad accettarlo, forse addirittura a
sceglierlo. E perché aiutano la collega a liberarsi del coniuge strangolato facendolo
a pezzi, cioè togliendogli anche l’aspetto e l’ultima dignità dell’essere
umano?
Per farci calare nei personaggi l’autrice non ci tace
neppure i dettagli più macabri e truculenti, e per quanto disturbante, questa
tecnica raggiunge lo scopo di farci quasi toccare con mano quanto queste donne
abbiano a loro volta perso la loro umanità e vivano nella solitudine anche
quando sono in famiglia, quanto accettino supinamente di essere sfruttate o
cerchino compensazione nei beni materiali più vistosi e vacui anche a costo di
sprofondare nei debiti.
Il cibo seriale diventa così immagine di vite seriali.
Nessuna varietà, nessun piacere, nessun contatto con la natura o con se stesse,
figurarsi rapporti e affetto con gli altri esseri umani. Masako, per esempio, viene
invidiata dalle altre per la bella famiglia, mentre in realtà il figlio
adolescente non le rivolge la parola da anni e il marito è un involucro umano con
cui ogni tanto incrocia i passi. E lei ha smesso di cucinare per la famiglia,
tanto il figlio pare preferire il cibo che compra preconfezionato. Magari
proprio quello assemblato dalla madre alla catena di montaggio.
Ecco, questo romanzo agghiacciante e disperato ci porta a
porci domande anche sulla nostra esistenza. Quanto esiste di seriale nella nostra
vita? Perché lo accettiamo, o forse più o meno consciamente lo cerchiamo?
Sappiamo ancora apprezzare la natura e il significato profondo che contiene
ogni chicco di riso oppure ci siamo rassegnati a spogliarci della nostra
umanità come se fosse troppo poco preziosa per difenderla a ogni costo, ogni
giorno?
Piano piano, le piccole svolte impresse dall’azione iniziale
rivoluzioneranno la vita di tutte le protagoniste. Ma se facessimo lo stesso
anche noi, decidendo però in piena consapevolezza la direzione da dare al
nostro nuovo viaggio?
Brano tratto da Natsuo
Kirino, Le quattro casalinghe di Tokyo,
Neri Pozza, Vicenza 2003
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