mercoledì 29 aprile 2015

Escoffier o Bridget Jones?


Nell’Ottocento la gastronomia francese era dominata da Marie-Antoine Carême. Il suo era uno stile pomposo, con architetture di cibo, argenti a profusione, piatti dai nomi altisonanti, un tripudio di vassoi con innumerevoli portate. Il rovescio della medaglia era la scomodità. Le composizioni architettoniche rendevano difficile servirsi, la disposizione in tavola di più portate contemporaneamente faceva sì che le temperature dei vari cibi gradualmente si raffreddassero.
Auguste Escoffier mirava a una clientela ricca e aristocratica come Carême, ma ai clienti privati – fossero pure re, zar o magnati della finanza – preferiva la ristorazione di lusso. Si deve alla sua pluriennale collaborazione con César Ritz, per esempio, il lancio siderale del Savoy a Londra, dei Ritz a Parigi e poi a New York, nonché del Carlton a Londra.
Lo “stile Escoffier” era una combinazione di eleganza ed efficienza. Il servizio rapido rendeva possibili i pranzi d’affari, la rigorosa scansione temporale era indispensabile per far assaporare tutto alla temperatura giusta, la creazione dei menu serviva a mettere le portate in una successione sensata e armoniosa. La giornalista Naomi Barry, che era una delle penne illustri di Gourmet – la rivista gastronomica più famosa degli USA, diretta da Ruth Reichl – attribuisce a lui l’idea dei menu a prezzo fisso, in cui gli stranieri potessero orientarsi nella carte elegante, in francese.
Dietro le quinte, la cifra di Escoffier è sempre stata all’insegna della razionalizzazione. Il personale di cucina diviso in squadre specializzate: salse, pesce, piatti di mezzo, zuppe, arrosti, pasticceria, gelati e dolci. Le ricette raccolte nel Grande libro della cucina francese, che richiese vent’anni di impegno. E nei settantacinque anni di carriera Escoffier formò non solo parecchi altri chef, ma soprattutto una mentalità più “moderna” dell’alta cucina.
Ora, tutto questo fa riflettere anche sulla nostra organizzazione in cucina. Non dovremo mai gestire il Ritz, ma studiare un menu di “portate alla nostra portata” e mettere le varie operazioni in sequenza logica fa risparmiare tempo, fastidi e tonfi clamorosi. Un esempio esilarante è la cena di compleanno (dis)organizzata da Bridget Jones nel primo libro della serie.

Ho deciso di servire la torta salata del pastore con indivia belga alla piastra, pancetta al Roquefort e, per aggiungere un tocco alla moda, riso parboiled fritto (non l’ho mai fatto prima, ma credo sia facile), seguito da minuscoli soufflé al Grand Marnier. Non vedo l’ora che arrivi il mio compleanno. Credo che mi creerò la fama di una cuoca e padrona di casa con i fiocchi.

L’idea di Bridget si scontra con difficoltà logistiche (19 persone sono una folla in un appartamento piccolo, non una «calda, enorme famiglia aficana») e con la goffa e tenera caoticità che è la sua caratteristica saliente. Ora delle 18,30 Bridget ha infatti ingombrato mobili e pavimenti della cucina di pentole con cibo a vari stadi di preparazione, ha infilato una scarpa scamosciata nel purè e realizzato che deve ancora comperare gli ingredienti dei soufflé, nonché pulire la casa e se stessa. E ci sono ancora i mobili da spostare e gli imbarazzanti barattoli con un motivo a scoiattoli da far sparire. Alle 19,40 sogna un bagno e un bicchiere di champagne prima che arrivino gli ospiti, ma realizza di aver lasciato in negozio la borsa con la spesa. Addio anche al riso saltato e alla pancetta. Ma forse fa in tempo almeno a lavarsi. Alle 19,55 squilla il campanello della porta.

Sono in reggiseno e mutandine e con i capelli bagnati. La torta è ancora per terra. Improvvisamente odio i miei ospiti. Ho dovuto sgobbare due giorni e tra poco loro entreranno, tutti in tiro, chiedendo cibo come tanti cucù. Mi viene voglia di aprire la porta e gridare: “Andate tutti a farvi fottere!”

Per fortuna gli amici di Bridget sono davvero una calda ed enorme famiglia, così la torta del pastore finisce in pattumiera, la cucina viene pulita e il compleanno si sposta in un ristorante. Quello che gli amici avevano già prenotato al solo sentir parlare di soufflé al Grand Marnier.
Allora, ti senti più Escoffier o Bridget Jones?

«Escoffier», di Naomi Barry, è incluso in Ruth Reichl (a cura di), Al banchetto del mondo, Ponte alle Grazie, Milano 2005. 
Brani tratti da Helen Fielding, Il diario di Bridget Jones, Superpocket Sonzogno, Milano 1999, pagg. 89 e 91.

mercoledì 22 aprile 2015

La Terra siamo noi

La Giornata mondiale della Terra è un appuntamento pensato per fare il punto della situazione ecologica a livello planetario. Quanta foresta abbiamo perso dall’anno scorso? Quante specie viventi si sono estinte? Qual è la situazione delle risorse idriche, alimentari ed energetiche nel pianeta?
Sembrano temi troppo grandi per il singolo individuo, respingenti. In realtà, ognuno di noi può fare la differenza con pochi e piccoli gesti. Per esempio, possiamo sfruttare al massimo il cibo che comperiamo anziché stipare frigo e dispensa e sforare le date di scadenza. Possiamo spegnere gli elettrodomestici anziché lasciarli in stand-by e così risparmiare energia. Possiamo riscoprire gli sfiziosi piatti vegetali della nostra tradizione mediterranea anziché banalizzare il pasto e mettere ipoteche sulla salute con la bistecca o l’hamburger.
Usciamo dagli schemi e non pensiamo a queste scelte come rinunce ma come guadagni: ci frutteranno più soldi e salute da investire in ciò che davvero ci fa sentire bene. 
Pensa al tuo prossimo fine settimana. Siediti su un pontile e guarda le onde. Chiacchiera con gli amici davanti a un bel piatto di finocchi gratinati o un profumato plumcake. Cammina nella natura, che ci sia un bel sole o una pioggerella di primavera di quelle che lavano via i pensieri. Sarai più appagato tu, sarà più sana la Terra.

lunedì 20 aprile 2015

La minestra di Picasso

Pablo Picasso, La pentola smaltata
Bisognava sapere quante minestre di pollo aveva cucinato Ida in un’ottantina di anni per poter apprezzare il modo in cui stava preparando quella; così come bisogna sapere che Picasso era capace di disegnare con precisione fotografica, per poter autenticamente apprezzare il suo cubismo. Perché a prima vista tutto sembrava fatto a casaccio, nella pentola o sulla tela, poco curato, immaturo: in fondo, anche un imbecille poteva scartare un pollo e seppellirlo nell’acqua sotto una sporta di carote, cipolle e sedano, no?
Ma era lo spettatore che doveva essere educato.
 Nora Seton riassume in poche righe quello che milioni di “persone che cucinano” (no, non di “cuochi” o addirittura di chef) sanno, ma di cui non parlano perché per loro è ovvio.
Dopo tante ripetizioni, il tuo corpo si muove in cucina come se seguisse una partitura musicale tutta sua, una sinfonia silenziosa. Le mani sbucciano, tritano, dosano, versano senza che tu ci pensi razionalmente, eppure tutti i movimenti seguono la successione giusta, in un’eleganza fatta di essenzialità.
A un osservatore esterno sembrerà un insieme di gesti casuale, ma quanta esperienza, quante prove, quanti ricordi ci sono nel passato prossimo e remoto un semplice brodo?
Questa può essere una chiave per capire come mai tante persone trovino rilassante cucinare. C’è il calore degli affetti famigliari (la minestra di quando eri bambino), c’è la rassicurazione della ripetitività (quella che fa guardare sceneggiati TV da mille episodi o seguire la partita tutte le domeniche), c’è il gusto del “saper fare bene” qualcosa, c’è l’obiettivo concreto del preparare qualcosa di buono, la gratificazione finale. Il bello e il buono.
E per te, cosa c’è dietro la svagata eleganza di una minestra?

Brano tratto da Nora Seton, Il circolo della cucina, Rizzoli, Milano 2000, pag. 155.