sabato 14 giugno 2014

Quattro casalinghe alla catena di montaggio



Come si trovano tanti romanzi sul cibo? Un sistema è quello di scorrere l’elenco di collana alla fine di un libro che ci è piaciuto. Come in un menu, possiamo appuntarci i titoli che solleticano il nostro appetito letterario. E, come in un menu, talvolta riceviamo piacevoli sorprese, altre volte portate dai sapori sgradevoli, magari troppo aspri o amari. Ma il gusto si costruisce e affina sperimentando la varietà, no? E scoprire i nostri gusti ci porta a scoprire noi stessi.
In fondo a Caffè Babilonia di Marsha Mehran (ci ritorneremo nella stagione delle melegrane) c’è l’elenco della collana «Le tavole d’oro», Neri Pozza. Compaiono il seguito di questo romanzo, Pane e acqua di rose, e due romanzi giapponesi, Il ristorante dell’amore ritrovato di Ito Ogawa e Le quattro casalinghe di Tokyo, di Natsuo Kirino. Mmm, potremmo iniziare da questo, ma chissà se parlerà di cibo.
Andiamo a leggere la scheda sul sito della casa editrice e scopriamo che è un noir in cui una donna uccide il marito violento e traditore, che ha bruciato tutti i risparmi di famiglia nel gioco d’azzardo, e si fa aiutare dalle colleghe a «smaltirlo», proprio come succede per gli scarti nella fabbrica di cibi precotti in cui tutte lavorano.
Ora, viste le premesse non ci possiamo aspettare raffinate dissertazioni sui piaceri dell’alta cucina, no? Ma il romanzo va oltre, facendoci sprofondare nell’alienazione della catena di montaggio anche quando riguarda qualcosa di intimo come il cibo: spogliarsi dei propri abiti per nascondersi dietro grembiule e maschera (quanti libri sul tema della maschera!), passare nel disinfettante braccia e mani per eliminare ogni minima impurità, o forse potremmo dire umanità, prima di indossare anche i guanti di gomma ed evitare ogni contatto in quello che invece dovrebbe essere un rapporto antico e diretto col mangiare. E poi ricevere passivamente le istruzioni per confezionare centinaia di esemplari tutti uguali, come dei robot con la spiacevole caratteristica di stancarsi.

Tutte le veterane sapevano quanto fosse pesante “spianare il riso”, che era freddo e duro perché era trascorso troppo tempo dalla cottura, e spianare in un attimo quel blocco di riso solidificato richiedeva forza nel polso e nelle dita, e inoltre bisognava lavorare curvi. Dopo un’ora si cominciava a sentire un indolenzimento nella schiena e negli avambracci e non si riusciva più a sollevare le braccia. Perciò si lasciava quell’incombenza alle nuove operaie, ignare del lavoro. Ma Yayoi, con espressione triste e rassegnata, andava stoicamente avanti.
Milleduecento colazioni al curry erano pronte. Il gruppo di lavoro doveva sgomberare velocemente il nastro trasportatore, pulirlo e spostarsi a un altro nastro.
Il lavoro successivo riguardava duemila scatole per una colazione speciale destinata a essere consumata a teatro, durante l’intervallo.

Oltretutto, il lavoro è notturno, e il lettore si chiede cosa abbia portato le quattro donne ad accettarlo, forse addirittura a sceglierlo. E perché aiutano la collega a liberarsi del coniuge strangolato facendolo a pezzi, cioè togliendogli anche l’aspetto e l’ultima dignità dell’essere umano?
Per farci calare nei personaggi l’autrice non ci tace neppure i dettagli più macabri e truculenti, e per quanto disturbante, questa tecnica raggiunge lo scopo di farci quasi toccare con mano quanto queste donne abbiano a loro volta perso la loro umanità e vivano nella solitudine anche quando sono in famiglia, quanto accettino supinamente di essere sfruttate o cerchino compensazione nei beni materiali più vistosi e vacui anche a costo di sprofondare nei debiti.
Il cibo seriale diventa così immagine di vite seriali. Nessuna varietà, nessun piacere, nessun contatto con la natura o con se stesse, figurarsi rapporti e affetto con gli altri esseri umani. Masako, per esempio, viene invidiata dalle altre per la bella famiglia, mentre in realtà il figlio adolescente non le rivolge la parola da anni e il marito è un involucro umano con cui ogni tanto incrocia i passi. E lei ha smesso di cucinare per la famiglia, tanto il figlio pare preferire il cibo che compra preconfezionato. Magari proprio quello assemblato dalla madre alla catena di montaggio.
Ecco, questo romanzo agghiacciante e disperato ci porta a porci domande anche sulla nostra esistenza. Quanto esiste di seriale nella nostra vita? Perché lo accettiamo, o forse più o meno consciamente lo cerchiamo? Sappiamo ancora apprezzare la natura e il significato profondo che contiene ogni chicco di riso oppure ci siamo rassegnati a spogliarci della nostra umanità come se fosse troppo poco preziosa per difenderla a ogni costo, ogni giorno?
Piano piano, le piccole svolte impresse dall’azione iniziale rivoluzioneranno la vita di tutte le protagoniste. Ma se facessimo lo stesso anche noi, decidendo però in piena consapevolezza la direzione da dare al nostro nuovo viaggio?
Brano tratto da Natsuo Kirino, Le quattro casalinghe di Tokyo, Neri Pozza, Vicenza 2003

domenica 8 giugno 2014

table - Cosa mangiavano i nostri antenati



...anche se ultimamente si parla molto di «dieta paleolitica», pochi sanno cosa mangiavano di preciso i nostri antenati. Probabilmente i più antichi, come l’Homo abilis, erano onnivori con poche pretese, che si accontentavano di piccola selvaggina o di grandi animali trovati già morti, nonché di quello che potevano racimolare nell’ambiente circostante (bacche, erbe e radici, ma anche insetti e larve).

Accantonata la gloriosa caccia al bisonte, dovremo immaginare i nostri progenitori intenti a scavare con un bastoncino in qualche tana di insetti o a dissotterrare tuberi per mettere insieme la cena. Un’immagine ben poco suggestiva, che però può diventare affascinante visitando la mostra Table all’Arengario di Monza.
Su una tavola imbandita lunga una decina di metri ci sono 28 pasti tipici dei nostri avi nelle varie epoche umane, dal Paleolitico in poi. Cos’avremmo messo in tavola se fossimo stati etruschi o antichi egizi? Sapevate che il «chilometro zero» adesso tanto di moda era un dato di fatto nel Medioevo come la delocalizzazione lo era nell’Ottocento? E che la multisensorialità gastronomica è diventata argomento di indagini erudite già nel Settecento? 
Che vi stupisca vedere la bottiglietta del Campari sulla tavola di inizio Novecento o vi susciti tanta nostalgia l’allestimento degli anni Settanta, con l’ananas sciroppato e la pasta Balena, questa mostra fa al caso vostro. Ma godetevi oggi la passeggiata nel centro storico di Monza, perché è l’ultimo giorno di questa esposizione: poi potrete sempre cercare sul sito dei curatori, wood*ing (link), le prossime attività.
Brano tratto da «La dieta paleolitica», in Roberto Mazzoli ed Emma Muracchioli, La dieta italiana dei gruppi sanguigni, Sperling & Kupfer, Milano 2013.