lunedì 24 febbraio 2014

Bon ton antropologico



La tavola come set di studio antropologico: questa la tesi di Roberta Schira. Per esempio, anziché trascorrere i primi appuntamenti esplorativi con un possibile partner al cinema o a passeggiare, meglio vederlo all’opera in un ristorante. 
Lui si aggiudica il posto migliore, lasciando alla dama quello sul passaggio o accanto alla cucina? Tratta i camerieri con sufficienza, ordina il vino facendo il superesperto, parla di sé tutta la sera? Mmm. Quanto a lei, occhio se studia il menu per dieci minuti e poi ordina piatti con mille varianti con/senza, peggio che mai se le varianti sono dietetiche come il tiramisù al mascarpone di soia, ma è sinistro anche se, all’opposto, non sa scegliere nemmeno un grissino. E sono eloquenti anche le scelte sulla consistenza (molle/duro) e il colore (bianco/scuro).
Inoltre, vanno considerate con sospetto le potenzialità erotiche tanto del commensale che si getta sul cibo e sbrana tutto in pochi minuti senza quasi capire cosa sia, quanto dell’asceta che si nutre senza manifestare alcuna emozione né a parole né con il corpo. E questo apre il tema del cibo presentato con grande cura estetica ma in modo troppo cerebrale. «Viviamo in una società cibocentrica dove però manca il piacere vissuto», dice Roberta Schira. E aggiunge: «Anche chi rispetta le regole del galateo, ogni tanto, deve essere in grado di mangiare con le mani».
Citazioni tratte da Roberta Schira, Il nuovo bon ton a tavola e l’arte di conoscere gli altri, Salani, Milano 2012

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