«...Faremo le crespelle. Ah, non
per adesso, certo. Ma per più tardi abbiamo crêpes
aux mille trous e l’harira, la
zuppa con limone e datteri. A Ramadan, tutti digiunano, ma pensiamo sempre al
cibo, compriamo cibo, prepariamo cibo, offriamo cibo ai vicini, sogniamo persino il cibo, voglio dire,
quando il vento ci lascia dormire. Porterò dei dolci marocchini: amaretti,
corna di gazzella, meringhe alle mandorle e chebakia.
Forse allora potrai darmi la ricetta del tuo cioccolato.»
A parlare è la matriarca della comunità maghrebina che pian
piano si è insediata e allargata a Lansquenet, il paesino della Francia rurale
dov’era ambientato il celeberrimo Chocolat.
Ormai Vianne si è trasferita a Parigi, dove l’ha raggiunta Roux e dove cresce
le sue due figlie. Ma un giorno le arriva una lettera dalla sua cara amica
Armande, che le chiede di tornare. Una lettera scritta prima di morire, in cui
la vecchia signora le dice di non lasciare che gli uccelli mangino tutte le
pesche dell’albero che cresce nel suo giardino.
Così Vianne parte per una vacanza che man mano si allunga e
si rivelerà decisiva per il paesino e i suoi abitanti così diversi. Le pesche
di Armande e il cioccolato di Vianne saranno le chiavi per aprire le porte di
molte case e dare il via agli scambi, al rapporto tra donne oltre la barriera
del velo.
Come sempre, la Harris ci fa sentire il profumo del
cioccolato e delle spezie, ci fa ascoltare le parole della cucina, ma quello
che colpisce nel libro è lo spessore del cibo nella sua assenza. Il cibo da cui astenersi durante il Ramadan da una parte,
il cibo visto con sospetto da parte del curato cattolico dall’altra.
Reynaud aveva ancora la pesca in
mano, l’aria rigida e impacciata. Il suo senso della correttezza è così
pronunciato che avrebbe preferito dormire in un fosso che usare una casa vuota
senza il permesso del proprietario. Quanto alle pesche, non avevo dubbio che,
per i suoi standard, anche quelle fossero rubate, e mi guardava con lo stesso
disagio con cui Adamo deve aver guardato Eva mentre gli passava il frutto
proibito.
«Non la mangia?» ho chiesto.
Anouk e Rosette avevano finito le loro con bocconi avidi, succulenti. Mi è
venuto in mente che avevo visto Reynaud mangiare solo una volta; per lui il
cibo è una faccenda complicata, da temere quanto da assaporare.
Lo scontro fra culture sfuma nell’opposizione di genere. Le
donne cucinano, trasformando gli ingredienti con sapienza alchemica e
offrendoli infine alla condivisione e al piacere, gli uomini normano, rifiutano,
puniscono. Ma cosa nasconde chi nega qualcosa agli altri?
Brani tratti da Johanne
Harris, Il giardino delle pesche e delle
rose, Garzanti, Milano 2012